Che internet sia entrato prepotentemente nella didattica degli ultimi anni è un fatto innegabile. Che lo abbia fatto in modo coerente e ordinato è invece più discutibile. Un esempio. Se fino a 15 anni fa si poteva richiedere serenamente agli alunni una ricerca in biblioteca, giacchè i testi in essa presenti erano in qualche modo già validati e tutto sommato affidabili, oggi con la rete questo passaggio non è scontato. Come ci insegna Rheingold in un illuminante passaggio del suo testo p.79 (“Perchè la rete ci rende intelligenti”)
“Ho l’impressione che adesso il compito (di verificare) tocchi a chi trova informazioni sul Web piuttosto che a chi ce le mette”
(cfr dopo per intero passaggio)
E’ avvenuta, in altre parole, una sorta di improvvisa rivoluzione, ora il compito di verificare spetta a chi legge, non a chi scrive. Questo passaggio ha delle enormi implicazioni didattiche. Una delle quali è ovvia: non si può dire semplice ai ragazzi di svolgere una ricerca online, senza che prima non li si sia istruiti a sufficienza sul come valutare l’informazione in rete.
A tale proposito ci viene in aiuto una straordinaria metodologia didattica che è il webquest. Non si tratta di altro che di una ricerca online guidata (a differenza del pbl che risulta più complesso). Tramite il webquest si può implementare l’uso di internet in classe, previa formazione degli studenti sulle modalità di verifica dei dati online.
Di seguito una serie di approfondimenti sul webquest.
Il Webquest: tecnologie e valutazione
Il Webquest come strategia didattica per l’uso consapevole di internet
Il Webquest: i paradigmi pedagogici che ne stanno alla base
Esempio di Webquest: Internet ci rende intelligenti o stupidi?
Esempio di Webquest: Di cosa parliamo quando parliamo di cibo
Corsi e Workshop Certificati da 25h e 990 euro su Webquest e Didattica per Problemi (PBL)
Emiliano Onori
designdidattico.com
info@designdidattico.com
facebook.com/DesignDidattico
twitter.com/Designdidattico
telegram.me/designdidattico
*La prima volta che ho visto mia figlia usare un motore di ricerca per i suoi compiti, le ho spiegato che “un tempo, le informazioni si raccoglievano andando in biblioteca per consultare un libro o un articolo di rivista. Magari si era in disaccordo con quanto scritto nel libro, ma si poteva stare ragionevolmente certi che, prima della pubblicazione, qualcuno avesse controllato le affermazioni dell’autore riguardo ai fatti citati. Quando si consultano i risultati di un motore di ricerca sul Web e si clicca su un link, invece, non si può essere sicuri della correttezza o meno delle informazioni trovate; è più facile incappare in informazioni scorrette e falsità totali”. “Chi mi può aiutare a sapere come stanno le cose?”, mi ha chiesto, arrivando così al cuore della sfida di Internet alla secolare autorità dei testi. “Ho l’impressione che adesso il compito tocchi a chi trova informazioni sul Web piuttosto che a chi ce le mette”, ho risposto, suscitando in mia figlia un’espressione di sgomento. “Puoi lasciarti facilmente indurre a credere a falsità di ogni tipo se non sai capire la differenza fra le informazioni buone e quelle cattive.” Per spiegarle ciò che intendevo, ho digitato il nome di Martin Luther King Jr., leader del movimento
per i diritti civili. Sapevo che, nella maggioranza dei motori di ricerca, la parte superiore della prima pagina di risultati ospita un link a un sito intitolato “Martin Luther King Jr.: la vera indagine storica”.1 Non ci vuol molto per rendersi conto che questa “vera indagine storica” in realtà presenta King come un personaggio losco. Ho chiesto: “Come fai a sapere se è vero o no?”. “Assomiglia a qualsiasi altra cosa sul Web”, ha risposto mia figlia. “Cerca l’autore”, le ho suggerito. (Howard Rheingold, Perchè internet ci rende intelligenti”, Raffaello Cortina Editore, p.79)