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Animatori Digitali e Animatori Didattici ovvero: Non dimentichiamo le pedagogie!

animatori didattici

L’Animatore Digitale e le scadenze del PTOF

Da quando è stata introdotta la figura dell’Animatore Digitale (AD), sia nei social network che nel dibattito scolastico, è fiorito un positivo dibattito in particolare sulle azioni da implementare nel prossimo triennio, azioni di cui è coordinatore appunto l’AD. Nei social network, ad esempio, è presente una nutrita serie di discussioni relative a quali strategie inserire nel Piano Triennale dell’Offerta Formativa (PTOF), al cui centro troppo spesso è la continua ricerca del migliore aggiornamento possibile per il corpo docente in vista di una didattica supportata dalle nuove tecnologie. Se infatti si consultano i documenti che molti AD hanno messo in condivisione in rete, documenti che spesso sono parte dei PTOF delle loro relative scuole, non si può non rilevare una certa enfasi nell’aggiornamento tecnico del corpo docente e uno scarso interesse per nuovi obiettivi didattici e nuove teorie pedagogiche.

Il Piano Nazionale Scuola Digitali: criticità e scarsa visione pedagogica

In tal senso si muove anche il Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD) presentato a novembre 2015 dal Ministero; questo documento ha senza dubbio il pregio di aver sintetizzato, in modo piuttosto chiaro ed accattivante, una serie di strategie probabilmente utili al fine di implementare una didattica digitale nelle scuole, ma insufficienti per un esauriente inquadramento pedagogico in cui inserire le cosiddette “nuove tecnologie”. In effetti dove a mio avviso pecca il PNSD è sul piano strettamente pedagogico, mi spiego; il documento, composto per lo più da interventi sintetici ed essenziali, non traccia che un quadro generalissimo in cui iscrivere le future linee guida della didattica del XXI secolo. Ad esempio, nel capitolo 3 pag. 29 si parla in modo “vago e indefinito” delle competenze degli studenti, collegandole in modo inutilmente generico alle “attitudini trasversali” e al “pensiero logico computazionale”, forse un pò poco come idea di didattica. Sempre nel capitolo 3 pag. 30 si parla di “Contenuti Digitali”, aspetto dirimente nell’attuale panorama della didattica assistita dalle tecnologie; tuttavia anche qui c’è solo un breve cenno alla creazione di “condizioni giuste per i contenuti digitali passino da eccezione a regola”. In questo caso chiunque abbia mai riflettuto anche solo parzialmente sul problema, epistemologico prima che tecnologico, sa che il tema è di ben più vaste dimensioni, e l’aspetto delle “condizioni giuste” (sic!) è assolutamente periferico o comunque secondario. Anche il capitolo 4, dedicato agli “ambiti di lavoro”, non traccia che un canovaccio sul “come arrivarci” (sic!); si fanno cenni, ad esempio, agli spazi per l’apprendimento, elencando per punti “obiettivi ed azioni”, ma senza la minima riflessione sul cambio di paradigma didattico che la modifica degli spazi comporta e richiede. Appena più articolato il capitolo 4.2 dedicato alle “competenze e contenuti” degli studenti. Anche qui, purtroppo, oltre al solito quadro di riferimento OCSE, poco c’è di pedagogico. Interessante, invece, il riferimento e la riflessione presente a pag. 76 sul tema “scenari innovativi per lo sviluppo di competenze digitali applicate”; qui si parla della creazione di almeno 20 format di percorsi didattici con indicatori di impatto per i singoli percorsi; utile anche il riferimento all’arte digitale e “cultural heritage”. Pur tuttavia il discorso resta quasi sempre in superficie, non si pone un problema di natura pedagogica e non si approfondisce alcun aspetto in senso scientifico. Verrebbe da dire che si tratta di “desiderata” espressi con un linguaggio 2.0. In conclusione, sebbene la disamina del PNSD richieda una riflessione di certo più articolata della precedente, l’approccio del documento pare chiaro: tracciare linee guida di natura per lo più tecnologica, più raramente metodologica, e disinteressarsi pressochè totalmente del dato pedagogico. Questo è, a mio avviso, la maggiore debolezza di un documento che, per altri versi, ha pure dei pregi.

L’Animatore Digitale e rischi del “digitale”

Ora vediamo come si inserisce la figura dell’AD in questo quadro, quali opportunità ha dal suo canto e a quali rischi può andare incontro. Una delle trappole in cui può cadere un AD è quella di “schiacciare” la sua azione solo sul “digitale”. A dispetto del nome e dell’attributo (“digitale”) che gli è stato attribuito, credo che questa importante figura debba porsi e porre ai colleghi problemi di ben più vasta e alta natura della semplice (e in sè inutile) implementazione del digitale a scuola. In altri termini dovrebbe superare la sua stessa etichetta “digitale” e sorpassare i vincoli (nominali quanto meno) che il MIUR gli ha imposto scegliendo questo appellativo e questo ambito così ristretto. Dovrebbe occuparsi di “innovazione” didattica, che, come si può vedere, non fa rima con “digitale” o “duepuntozero”. Ecco quello che manca, dal mio punto di vista, a molti PTOF in seno alla figura dell’AD: chiedersi quale tipo di didattica vogliamo fare con le tecnologie. Talora infatti commettiamo l’errore di anteporre i termini del problema: usiamo una tecnologia e ci chiediamo cosa possa farci fare di nuovo. Questa dislocazione “mezzi-fini” può risultare molto dannosa. Occorre chiarirsi come vogliamo innovare la didattica, con quali visioni pedagogiche, con quali strategie, con quali obiettivi, e solo alla fine chiedersi se il digitale è utile in tal senso. Questo discorso, ovviamente, non mira a criminalizzare il digitale in sè, sarebbe ingenuo e per certi aspetti persino antistorico, quanto piuttosto a farci riflettere sulle modalità con cui vogliamo innovare la didattica del nuovo millennio. Inutile dire che il digitale ci apre un mondo di possibili percorsi e scenari, ma allo stesso tempo riserva difficoltà e costi, in termini economici e di tempo, che l’AD non dovrà mai sottovalutare. In conclusione, dunque, possiamo affermare che, nonostante le imminenti scadenze imposte dal MIUR alla approvazione del PTOF, l’AD dovrà mantenere uno sguardo lucido e distaccato da una progettualità solo a breve termine, dovrà essere lungimirante ed accorto. In questo senso i tempi stretti del MIUR risultano dannosi e completamente ignari della vastità dei problemi sollevati. Chiunque abbia un minimo di buon senso sa che progettare attività e scenari triennali è lavoro lungo, impegnativo, faticoso e bisognoso di ampio confronto con tutte le parti in gioco: docenti, alunni e famiglie. Con la recente scadenza del PTOF, per altro di poco successiva al rientro dalle vacanze invernali, quale AD potrà mai progettare un triennio di attività in modo coerente e sensato? Quale spazio di confronto avrà avuto con i colleghi, a cui pure il lavoro è rivolto? E come avrà potuto raccordare le esigenze del territorio, cui tanto si fa riferimento nel PNSD? E la comunità di genitori, in quali momenti è stata contattata? Questo dimostra, ancora una volta, l’inadeguatezza e la scarsa lungimiranza di quanti, al ministero, pretendono scadenze ravvicinate per documenti così importanti e decisivi.

Animatore Digitale o Animatore Didattico?

In questo quadro dunque l’AD dovrebbe, a dispetto del nome, comportarsi da Animatore Didattico e avere uno sguardo che vada ben oltre il digitale in quanto tale. Del resto l’esperienza del Piano Nazionale Lim dovrebbe anche avere insegnato qualcosa: la sola immissione di device tecnologici non porta con sè, in modo automatico, anche una innovazione in termini didattici. Come muoversi quindi in uno scenario così complesso? Vediamo qualche indicazione. L’AD potrebbe, ad esempio, chiedere ai colleghi-docenti ciò che già realizzano con le tecnologie, anche per raccogliere le buone pratiche, e poi capire quali obiettivi vogliono raggiungere, obiettivi irrealizzabili con le tradizionali strumentazioni. Questo potrebbe essere un banale ma pratico punto di partenza. Esistono per altro ottimi strumenti pedagogici per capire l’impatto delle tecnologie a scuola, uno di essi è il modello SAMR (per un approfondimento sul modello consiglio questo articolo), di cui riporto una esemplificazione grafica:

Il modello, in poche parole, ci dice che la tecnologia scuola segue (quando va bene!) quattro step:

  1. Substitution (Sostituzione): qui si fanno le stesse cose di sempre, ma con le tecnologie. Es: disegno una tabella con Excel
  2. Augmentation (Miglioramento): qui si fanno quasi le stesse cose con qualche aspetto in più. Es: disegno una tabella con immagini
  3. Modification (Modificazione): qui si inizia a fare qualcosa non realizzabile con strumenti tradizionali. Es: un testo collaborativo
  4. Redefinition (Ridefinizione): a questo stadio la tecnologia ha ridefinito la didattica. Es. video di un role play teatrale

Grazie dunque a modelli come il precedente, l’AD potrà valutare verso quale direzione indirizzare la didattica, in tal caso assistita dalle nuove (!) tecnologie.

 

Quali metodologie per innovare la didattica

Arrivati dunque a comprendere come non sia il digitale in sè a portare un vero miglioramento (anzi, come sostiene in questo articolo anche Maragliano: “Sia chiaro, il digitale non risolve proprio nulla, anzi ti crea problemi”), l’AD, in accordo con i colleghi, può individuare alcune strade per portare reale innovazione in classe. Occorre innanzi tutto partire dalle seguenti domande che, prevedibilmente, nulla hanno a che fare col digitale e con le tecnologie:

  • “I ragazzi vengono felici e curiosi a scuola”?
  • “I ragazzi sono frustrati davanti all’insuccesso scolastico”?
  • “I ragazzi mostrano desiderio di conoscere nuove cose in classe”?
  • “I ragazzi sono messi nelle condizioni di essere creativi”?

Dopo aver individuato, se non delle risposte, quanto meno delle indicazioni rispetto ai precedenti interrogativi (magari attraverso questionari o dibattiti in classe), l’AD può iniziare a selezionare alcune strategie didattiche che, ad esempio, superino la lezione e la verifica frontali (in altre parole superino una sorta di modello “fordista-taylorista” della scuola). Dunque, quali caratteristiche devono avere le “nuove” strategie? Proviamo a ipotizzare. Esse dovrebbero:

Queste linee guida, tra le tante possibili, potrebbero dare indicazioni anche sulle metodologie didattiche da usare, ad esempio:

  • Apprendimento basato su problemi e progetti (PBL, Problem/Project Based Learning)
  • Apprendimento basato sull’esperienza (Learning by Doing)
  • Apprendimento cooperativo e tra pari
  • Classe capovolta (Flipped Classroom) e Episodi di Apprendimento Situato (Eas)
  • Gioco di ruolo (Role Play)
  • Studi di caso e Simulazioni

Ecco, anche queste non sono che alcune possibili metodologie didattiche che superano, in modo effettivo e non solo nominale, la lezione frontale che, sia chiaro, mantiene una sua specifica validità, tuttavia, come ogni strategie, deve essere utilizzata in concerto con altre. Solo arrivati a questo livello di riflessione è possibile pensare al digitale, vale a dire a quali strumenti siano più idonei a raggiungere un obiettivo didattico. In tal senso il digitale torna a divenire quello che avrebbe sempre dovuto essere: un mezzo e non un fine. Ci si può accorgere, ad esempio, che per l’apprendimento basato su problemi non sia necessario un supporto digitale, ma magari può essere utile una uscita didattica (che gli alunni possono svolgere in autonomia con carta e penna); allo stesso tempo si può arrivare a concludere che per un role play (ad esempio lo studio della tragedia shakespeariana attraverso una breve recita drammatica di un passo) non sia di per sè irrinunciabile l’ausilio del digitale. Oppure, e potrebbe essere uno scenario plausibile, per una lezione capovolta ci accorgiamo che il digitale che è già presente a scuola (una connessione ad internet ed un notebook) è assolutamente bastevole ai nostri scopi, e magari rinunciamo all’acquisto di venti o più “miracolosi” tablet. Allo stesso modo l’AD può rilevare che per facilitare l’accesso ai materiali didattici dei docenti possano essere utili le Google Apps for Education che, ricordo, per le scuole sono assolutamente gratuite. Solo dunque arrivati a questo stadio l’AD si accorgerà che sarà necessario, ad esempio: l’acquisto di notebook, un corso di formazione su PBL e il potenziamento della banda larga ma. A questo punto la scuola avrà un buon margine di sicurezza che tali interventi, economici e formativi, sono indirizzati a degli obiettivi condivisi e sperimentati, motivo in più per continuare ad affermare il “non-senso” dell’esplicitazione nel mese di gennaio 2016 del piano triennale dell’AD nel PTOF.

Conclusioni: il digitale è un mezzo e non un fine, torniamo a parlare di pedagogia!

La riflessione ormai credo sia chiara: il digitale è solo uno dei tanti aspetti del problema relativo all’innovazione. Possiamo illuderci di fare una didattica digitale, magari perchè utilizziamo notebook, tablet, banda larga e google apps, ma in realtà essa potrebbe essere niente altro che una didattica tradizionale “digitalizzata” o “elettrificata” (in merito consiglio questo articolo). L’AD quindi ha il compito prima di tutto di pensare a pedagogia e didattica (da qui l’indicazione, forse più felice, di “Animatore Didattico”), poi al contesto e solo in ultima istanza agli strumenti digitali. Il rischio, anteponendo il digitale alla riflessione pedagogica, è quello della “gadgetizzazione” della scuola, ossia riempire le nostre aule di strumenti o inutilizzati o, peggio ancora, utilizzati per portare avanti una didattica tradizionale che, sia detto per inciso, ha ancora molto da dire alle future generazioni. Certo è che non possiamo tirarci indietro difronte sfida che il digitale ci impone, come vorrebbero alcune “anime belle” che ci mettono in guardia sul fatto che, ad esempio, il tablet crei nuove forme di analfabetiI ragazzi, ma noi prima di loro, utilizzano il digitale come ambiente e come linguaggio, non solo come strumento, sicchè dovere della scuola è educarsi ed educare ad un uso consapevole dei nuovi mezzi a nostra disposizione. Tornare indietro è impossibile e comunque non auspicabile, guardare avanti in modo critico e consapevole per molti è una possibilità, per noi docenti è un obbligo e una sfida.

Emiliano Onori

 

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Mi chiamo Emiliano Onori, sono insegnante di italiano e latino e formatore. Vivo nella provincia di Perugia ma insegno in quella di Arezzo. Leggi tutto

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