Introduzione
Dopo aver visto le criticità del PNSD relative alle procedure di reperimento dei formatori (clicca qui per leggere il contributo) proviamo ora a riflettere su un altro aspetto che ha messo in difficoltà più di un soggetto coinvolto nelle operazioni di formazione legate al Piano: la fretta. Con questo termine, di certo poco formale, intendiamo i tempi particolarmente stretti in cui docenti e segreterie sono stati in un certo senso “costretti” ad operare, a vari livelli; ad esempio nel reperimento dei formatori, nell’allestimento dei programmi di formazione (almeno nei casi – pochi e fortunati purtroppo – in cui tali programmi sono stati resi noti con un certo anticipi) come pure nella comunicazione dell’inizio dei lavori alle scuole e ai docenti interessati.
La fretta ovvero il lato oscuro della velocità
Non si può non dare merito al PNSD di aver impresso una forte scossa al settore formazione interno al ministero, almeno dalla fine dell’ottobre 2015. Erano anni, del resto, che i processi di aggiornamento interni per i docenti si erano arenati, pertanto è stato con enorme interesse che la maggior parte degli insegnanti (e non solo quelli più giovani, come una certa vulgata vorrebbe far intendere) ha accolto le linee guida presenti nel documento in oggetto. All’entusiasmo iniziale ha fatto seguito una sequela di scadenze sin troppo ravvicinate il cui adempimento spesso non è risultato sostenibile da parte delle segreterie scolastiche, già spesso oberate di lavoro anche in virtù della infinita serie di progetti che vengono recapitati alle scuole. Sicchè abbiamo potuto assistere, in specie ad inizio 2016, ad un quadro che da un lato ha indiscutibilmente attratto molti docenti, pensiamo alla figura degli animatori digitali, e dall’altro ha pesato sull’organizzazione logistica che avrebbe dovuto felicemente supportarlo. In qualche modo abbiamo visto in opera forze, se non contrastanti, quanto meno diverse; lungo un versante c’erano quei docenti che, finalmente, vedevano riconosciuto in via formale un proprio ruolo all’interno della scuola (quello dell’animatore digitale, e per ora lasciamo da parte la vexata quaestio dei compensi, spesso surretiziamente invocata); lungo un altro versante si è potuta osservare non certo l’inerzia ma almeno la atavica e fisiologica lentezza di organi come i collegi docenti che richiedevano, per altro spesso giustamente, tempi e spazi di discussione in merito alle novità apportate dal PNSD.
A mio avviso non si è trattato di un quadrò conflittuale di per sè, come molti hanno sostenuto, cioè a dire uno scenario in cui, ad opposte fazioni, si scontravano “innovatori” e “conservatori” (categorie banali e spesso superate all’interno del variegato mondo scuola) quanto piuttosto di un contesto in cui si segnalava chi voleva (doveva?) emergere a tutti i costi e chi, invece, desiderava ponderare bene scelte e tempi, specie nella considerazione del fatto che le novità previste dal PNSD subentravano in itinere, vale a dire in un momento dell’anno in cui incarichi e progetti già erano stati assegnati. Tutto questo movimento e dibattito, di certo sano e fertile, avrebbe in ogni caso richiesto un surplus di lavoro, al di là del suo esito e delle figure che lo avrebbero ricoperto, da parte delle segreterie, in un certo senso al di fuori dal dibattito, spesso acceso e ideologizzato (per non dire sindacalizzato) dei collegi docenti. E qui, a mio avviso, si situa la criticità: c’erano in gioco attori diversi: l’entusiasmo felice di molti avrebbe comportato sforzi organizzativi di altri. In altre parole non c’è stata una vera e propria squadra.
Evidentemente tutto ciò al ministero non è sfuggito, al punto che, poche settimane dopo l’istituzione della discussa figura dell’animatore digitale, è comparsa quella del Team dell’Innovazione. Anche in questo caso, però, il problema è stato il medesimo: troppi pochi giorni per discutere questa figura e sceglierne i rappresentanti, che per altro nei mesi di aprile, maggio e giugno avrebbero dovuto (potuto) frequentare corsi di formazione ad hoc.
La fretta ovvero: come sabotare dall’interno le scadenze dei progetti (Internet Day, Erasmus Plus e Atelier)
Questo quadro non si è definito solo all’interno del reperimento di figure chiave come animatori digitali e team dell’innovazione ma anche, e forse ancora di più, nelle scadenze di progetti particolarmente importanti come quelli connessi all’Erasmus Plus, all’Internet Day e agli Atelier Creativi (per le Biblioteche Scolastiche Innovative, invece, la scadenza è stata particolarmente più ampia, e di questo va reso merito). Cosa hanno in comune questi (a volte) interessanti iniziative? Il fatto di prevedere scadenze particolarmente vicine al bando di pubblicazione. E quale è il problema? Molto semplice: l’animatore digitale che, c’è da supporre, era impegnato anche prima di tale investitura in numerosi progetti connessi all’innovazione digitale, non ha avuto spesso il tempo materiale per seguire e compilare i bandi in oggetto. Il team dell’innovazione, del resto, in numerosi casi non si è formato poichè i docenti interessati a prendervi parte erano già, da inizio anno, impegnati in altre attività e pertanto non ha avuto modo di supportare l’azione dell’animatore. Le segreterie, infine, non hanno spesso avuto il tempo e il modo di seguire procedure molto spesso differenti da quelle abituali (pensiamo ad esempio alla firma elettronica). Il risultato è facilmente immaginabile: laddove le scuole hanno potuto contare su personale disponibile, allora è stato possibile prendere parte (e magari vincere) bandi e iniziative; laddove non è stato possibile, le scuole non hanno avuto l’opportunità di partecipare. Molto semplice.
Le conseguenze della fretta ovvero quando la velocità non è una virtù
Abbiamo quindi visto le conseguenze, sul breve periodo, di una velocità che il ministero ha impresso alle scadenze, e che nella maggior parte dei casi non è stata sostenibile da parte di docenti e scuole. A mio avviso però sono gli strascichi sul lungo periodo che possono causare maggiore disaffezione e, nel caso più grave, il fallimento, parziale o totale, del piano medesimo. Vediamo perchè.
Innanzi tutto chi resta maggiormente frustrato dalla impossibilità di partecipare ad eventi, bandi ed azioni sono proprio i docenti più attivi (non importa che siano competenti a livello digitale oppure no), cioè quelli che di norma, diciamo senza timore, fanno la differenza in termini di innovazione all’interno del proprio istituto. Ha senso creare disaffezione proprio presso queste figure? Che, anche qui affermiamolo senza reticenze (semmai con dispiacere), molto spesso lavorano senza adeguata gratificazione economica? Senza dubbio no. In altre parole non avere un buon tempismo da parte del ministero (e quindi introdurre le figure degli Animatori e Team ad anno scolastico avviato) non è stata una mossa nè intelligente nè lungimirante.
In secondo luogo vediamo le conseguenze presso i docenti “altrimenti conservatori”, vale a dire quel folto numero di insegnanti affetti da quello che, con un termine di moda anche se abusato, possiamo chiamare “benaltrismo”. Chi sono costoro? Essi rappresentano un gruppo, spesso numericamente determinante, che non ostacola direttamente le scelte dei pionieri, ma rivendica costantemente che “ben altro” sarebbe necessario per favorire ed introdurre, ad esempio, l’innovazione didattica a scuola. Sono coloro, per essere più chiari, che all’epoca della introduzione delle lim (che mai e poi mai sono state ritenute una panacea didattica dalle persone di buon senso) rivendicavano l’acquisto di ulteriori lavagne in ardesia, o magari di stampanti in aggiunta a quelle presenti nell’istituto, oppure di carta igienica. Orbene, tutti i suddetti acquisti sono assolutamente necessari, e per altro spesso preliminari e più urgenti di altri, ma non rappresentano una reale alternativa didattica rispetto agli strumenti scelti (nel nostro esempio: le lim). Spesso dietro al “ben altro” non c’è che una bieca rivendicazione e difesa dello status quo, una totale assenza di visione (strategica) che, senza dubbio può rivelarsi errata (pensiamo alle inutili forniture di netbook o tablet senza una doverosa visione pedagogica a monte), ma in qualche modo rappresenta pur sempre una sfida, intellettualmente onesta, anche se potenzialmente errata. Questa “zona grigia” di insegnanti spesso non aspetta altro che cogliere ogni occasione per criticare, anche senza motivazioni solide, ogni iniziativa ministeriale, in specie se giunta con ritardo o in momenti dell’anno particolarmente impegnativi (come in effetti è accaduto tra gennaio ed aprile 2016). Da parte del miur offrire il fianco a tali critiche può apparire cosa di poco conto, e in fondo lo sarebbe se guardiamo il merito di talune vuote osservazioni, ma diviene fattore delicato se tali occasioni fanno “massa critica” e sortiscono l’effetto di indurre nel dubbio, legittimo per altro, anche i docenti più motivati. In conclusione possiamo sostenere che la progettazione ed il tempismo, sia da parte del singolo professionista, come il docente, sia soprattutto da parte di un ente così imponente come il miur, richiedono uno sforzo ed una esattezza assolutamente impeccabili, specie in vista di ambiziosi obiettivi come quelli del PNSD.
Infine un’ultima riflessione. La velocità, e la fretta che spesso ne deriva, possono portare alla deduzione che nei piani del miur non ci sia una strategia di lungo respiro ma una più banale tattica rivolta al breve termine. Come il dibattito politico, ahimè, negli ultimi anni ci ha insegnato, la politica degli slogan e la retorica della velocità spesso nascondono una totale mancanza di idee forti. Possiamo riconoscere, senza dubbio, al PNSD una certa quale lungimiranza (anche se, almeno per chi scrive, il PNSD non ha una vera visione pedagogica, come più volte fatto presente, in varie e nobili sedi), ma l’impressione che se ne potrebbe trarre è che, dietro la grafica accattivante e alla velocità di esecuzione, si celi una certa quale volontà di inseguire le mode ed accogliere certe istanze che, almeno per un pubblico di non addetti ai lavori, possano riscuotere un certo successo ma non sono in sè significative; mi riferisco, ad esempio, all’enfasi, a mio parere eccessiva, rivolta al coding o all’uso di smartphone in aula. Capisco perfettamente che per certi investimenti (penso ai PON) ci siano delle scadenze tali che ogni dilazione rischierebbe di metterne in dubbio l’attuazione, tuttavia non è nemmeno pensabile progettare nell’emergenza, poichè sappiamo bene che questo approccio non solo non paga, ma offre il fianco a pericolose opacità.
Come “moderare” la velocità e consentire a tutti di partecipare
E’ ora giunto il momento della pars construens, vale a dire l’individuazione di possibili strategie idonee al superamento dei rischi connessi alla fretta di cui sopra. Vediamone alcune.
- Da parte del miur progettare il più possibile ad inizio anno, di modo da dare tempo ed occasione di dibattito ai singoli collegi docenti, animatori, digitali e team per l’innovazione. Di conseguenza limitare al massimo scadenze centrali (novembre-aprile) di grande valore strategico.
- Formare il più possibile (cosa per altro prevista se non già avvenuta) il personale di segreteria di modo che possa essere un valido supporto tanto per l’animatore digitale quanto per il team dell’innovazione.
- Supportare le scuole con maggiori difficoltà organizzative con personale esperto che possa collaborare alla stesura di progetti e/o bandi. Questo punto merita a mio avviso grande attenzione. In alcune scuole, specie quelle con più docenti o situate in città particolarmente estese e popolose, è piuttosto semplice reperire risorse interne capaci di scrivere e partecipare a progetti; in scuole più piccole, e con minore tradizione in termini di innovazione, questa opportunità o non esiste o è ridotta al minimo. Il rischio, in un lasso di tempo piuttosto breve come potrebbe essere il triennio del PNSD o un quinquennio, è che si creino da un lato poli di eccellenza (ora va di moda parlare di campus) e dall’altro sedi in cui manca persino la connessione ad internet. In altre parole è importante iniziare a pensare per reti di scuole, ma non tra loro sempre e comunque in competizione ma in cooperazione.
- Dare evidenza dei risultati in modo trasparente e accessibile. Non è pensabile, parlo per esperienza diretta, partecipare a progetti (mi riferisco ai progetti del welfare dello studente) e non avere alcuna risposta circa l’esito del finanziamento, nessuna evidenza sulle scuole aggiudicatarie dei finanziamenti, sui criteri adoperati. Questa opacità e totale mancanza di trasparenza è semplicemente inammissibile e colpevole.
Conclusioni
Ritengo che il punto di vista sia chiaro: la velocità ha prodotto risultati positivi ma presenta innegabili rischi e criticità che il comparto scuola spesso non può superare, per sua stessa fisiologia. Il PNSD ha davanti a sè un triennio di formazione; la scuola italiana non uscirà probabilmente del tutto cambiata da questa importante tornata formativa, ma sicuramente ha una ottima occasione per rinnovarsi in modo capillare e significativo. Sarebbe un peccato imperdonabile sacrificare ad una fretta e velocità senza prospettive il miglioramento professionale di migliaia di docenti.
Emiliano Onori
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