Introduzione
In questi giorni si susseguono i primi bilanci del Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD) ad un anno circa dalla sua attuazione. E’ piuttosto difficile dare un quadro univoco del PNSD poichè si tratta di una azione complessa che ha messo in moto numeri altissimi, sia in termini di investimenti che di personale coinvolto. Ogni contributo che in questi giorni insegua la pretesa di etichettare la suddetta azione in un solo senso rischia di banalizzare e semplificare una serie di interventi che hanno avuto, come spesso accade quando si coinvolgono grandi numeri, luci ed ombre. In questo breve contributo, però, si vorranno mettere in luce in particolare le criticità che hanno talora minacciato il buon funzionamento del Piano, al solo fine di offrire spunti per un miglioramento che ci appare doveroso e necessario.
Premesse
Prima di illustrare quelli che appaiono come punti deboli del PNSD è opportuna una doppia premessa: di metodo e di merito. La prima: conosco piuttosto bene e per esperienza diretta l’attuazione del Piano in regioni come Umbria e Toscana, in modo indiretto nelle altre regioni, grazie soprattutto al feedback di colleghi avvenuti tramite social network e non solo. La seconda premessa è nel merito: la trasparenza è punto di partenza e snodo di ogni attività che investa risorse pubbliche, nessuna ragione, anche in apparenza comprensibile, può in alcun modo porre in secondo piano tale trasparenza in favore di obiettivi che di volta in volta possono essere definiti come “pragmatici” e “concreti”. Sulla scorta di queste due convinzioni iniziamo ad analizzare cosa avrebbe potuto funzionare meglio nella attuazione del PNSD tra la fine del 2015 e la prima metà del 2016.
Trasparenza nel reperimento dei Formatori
Uno degli aspetti più seccanti del Piano è stata, talora, la scarsa trasparenza con cui sono stati reperiti i formatori, sia per i corsi rivolti agli Animatori Digitali sia per quelli rivolti al resto del personale. Parlo, in questo caso, di esperienze che mi hanno coinvolto personalmente; diverse scuole, infatti, mi hanno contattato principalmente per la mia presenza nei social network (per altro molto recente) e per il passa parola di alcuni gentili colleghi che, con me, avevano frequentato negli anni scorsi altri corsi di formazione. Se da un lato, a livello puramente personale, questa stima non può che fare onore, a livello più generale tale metodo indica una scarsa trasparenza in ordine al reperimento dei formatori. Aggiungo poi che in diversi casi i dirigenti non hanno provveduto a stilare classifiche di merito per aspiranti formatori, rendendo così incomprensibile all’esterno la scelta di alcuni formatori piuttosto che altri.
A questo si aggiunge il fatto che la stragrande maggioranza dei formatori (molti dei quali docenti di scuola) non solo non dispone di un sito web personale che rechi le proprie esperienze in materia, ma nemmeno la benchè minima presenza di un curriculum vitae online, aspetto a mio avviso persino grottesco nel 2016.
A chi si deve questa insolita (per essere generosi) procedura? A vari fattori: innanzi tutto la fretta (di cui parleremo in un prossimo contributo) a cui il ministero ha spinto le segreterie, spesso per altro non preparate ad azioni di tal genere, nell’attuazione del Piano, in particolare nell’aspetto del reperimento delle risorse umane; in secondo luogo l’assenza di un database ufficiale online in cui reperire personale qualificato.
In terzo luogo i compensi: non si può pretendere una azione formativa di qualità quando i compensi sono bassi e allorquando non sia previsto un rimborso delle spese di viaggio. In questo scenario è facile comprendere quale sia l’esito, che comunque riassumo per chi ne fosse interessato: il ministero richiede in tempi rapidi l’individuazione di formatori; la segreteria incaricata nel reperimento non sa chi e dove cercare; si fanno nomi, per passa parola, di docenti interni e/o viciniori (dati i compensi); si individuano come formatori tali docenti reperiti a fatica (spesso senza o con scarsa evidenza pubblica); si adattano i programmi di formazione a tali docenti; si fanno partire i corsi.
Talora invece è accaduto l’esatto contrario, come per altro messo in luce anche da Paolo Ferri in questo articolo, vale a dire la scelta è stata effettuata in modo iperburocratico, attraverso un semplice bilancio di titoli posseduti, senza tenere in debita considerazione l’obiettivo della formazione medesima e le possibili ricadute sul personale in formazione.
Come superare la criticità della trasparenza
Giunti a questo punto è opportuno definire alcune possibili strategie per superare la criticità connessa al problema della trasparenza.
1- Database online di formatori: occorre un sistema di accreditamento serio e possibilmente ufficiale (leggasi ministeriale) tramite il quale cercare formatori idonei ai percorsi formativi che si vogliono mettere in campo. Non è una azione semplice e rapida, tuttavia appare inevitabile se si vuole puntare sulla qualità.
2- Obbligo del curriculum vitae online dei formatori: in attesa di un database unico è assolutamente doveroso che ogni formatore abbia quanto meno un cv online, possibilmente con l’elenco delle scuole in cui ha lavorato (come formatore se docente di scuola o università) e l’elenco dei materiali prodotti. Solo in questo caso sarà possibile valutare non solo la preparazione del professionista ma anche la sua idoneità al compito cui, ad esempio, uno Snodo Formativo intende sottoporlo.
3- Prevedere la pubblicazione, possibilmente in un database nazionale, dei formatori scelti scuola per scuola. In realtà questo aspetto in rari casi è stato attuato, specie per la formazione del Team per l’innovazione, ma solo grazie alla buona volontà dei docenti o delle segreterie che si sono fatte carico della selezione dei formatori medesimi. Tale elenco deve andare a sistema, non può essere deputato allo scrupolo dei singoli.
4- Prevedere un sistema di valutazione da parte dei corsisti. Sarebbe auspicabile che i docenti in formazione, a seguito del corso, possano esprimere una valutazione circa il lavoro svolto dal formatore, magari in riferimento a dei criteri standard (ad es. materiali messi a disposizione, chiarezza/competenza, disponibilità al supporto online, etc.) In tal modo ci sarebbe un sistema interno di controllo della qualità, questa volta non a monte ma a valle della formazione.
Conclusione
Questi a mio avviso i punti critici e il modo di superarli. Non dimentichiamo per altro che a settembre, e in realtà per tutto il triennio 2016-19, ci saranno numerose attività di formazione che non potranno in alcun modo presentare i difetti di gioventù di quelle appena trascorse altrimenti non si potrà addebitare alla fretta tali mancanze ma ad una ben più problematica e preoccupante superficialità organizzativa.
Emiliano Onori
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